Big Hero 6 di Don Hall e Chris Williams
La perdita dolorosa di un caro famigliare che incontra una storia di imbranati supereroi ambientata in un futuro non troppo lontano, nella fittizia San Fransokyo – mix riuscito di stili e culture senza soluzione di continuità, aggiungendo dettagli orientali ad oggetti di base americana – una città cornice di un legame speciale tra un nerd prodigio della robotica e un robot gonfiabile extralarge dal cuore d’oro. Per un impero animato che negli ultimi anni si è arricchito di molteplici sfumature, temperato da una dose di dolente emotività che pare mutuata dalla dichiarata ascendenza che gli anime giapponesi (quel cinema di Hayao Miyazaki) hanno esercitato, nel corso dei decenni, alla casa madre di Topolino. E se queste due anime, mondi in espansione sapessero fondersi in modo omogeneo e credibile?
Dopo il vastissimo quanto inatteso successo di Frozen – Il Regno di Ghiaccio, stavolta la Walt Disney Animation guarda al Giappone con ben altre premesse: dove gioco, creatività e suggestione possano convivere e tracciare il primo lungometraggio degli studios ispirato ad un fumetto Marvel. Perché Big Hero 6 diviene ciò che la Pixar ha raggiunto nell’apice del settore tecnico occidentale, ma imbevendosi di quel classico ‘buonismo’ disneyano che in Baymax (delizioso incrocio fra Totoro e l’omino marshmellow dei Ghostbuster) dispieghi al meglio, fino ad occultare, la progettualità nascosta sotto la superficie della pellicola firmata da Don Hall e Chris Williams. Come ‘coraggiosamente’ già messo in scena nei capolavori quali Bambi (1942) e Il Re leone (1994), all’elemento drammatico qui succede una spinta superoministica che oramai domina il mercato a stelle e strisce con puntualità e dedizione al servizio del racconto; non dimenticando la tradizione e avendo il merito di riprendere il discorso dell’ammodernamento dei film Disney laddove lo aveva lasciato l’ottimo Ralph Spaccatutto. Discorso che si avverte quantomeno in una prima parte brillante, caratterizzata da emozioni intense e una valanga di gag umoristiche, al contrario di un cedevole passo finale non riuscito ad emergere, sorvolando una trama dalle svolte prevedibili e personaggi secondari fin troppo caricaturali.
Hiro Hamada è un giovane genio della robotica che piuttosto che studiare si cimenta in particolari combattimenti di strada con protagonisti piccoli robot guerrieri. Il fratello Tadashi invece ha messo il suo intelletto al servizio della scienza e studia presso il San Fransokyo Institute of Technology. Per accedervi Tadashi ha creato un simpatico quanto utile robot infermiere, Baymax, un enorme pupazzone morbido e sgraziato per poter ‘ispirare fiducia’ nei suoi pazienti. Per convincere il fratellino ad abbandonare le bot-fights e iscriversi allo SFIT, Tadashi lo porta ai laboratori dell’istituto dove gli mostra il suo lavoro e quello dei suoi amici inventori. Eccitato dalle mille possibilità di studio, Hiro decide così di creare qualcosa di straordinario da presentare al professor Callaghan, mentore di Tadashi e suo personale eroe: ecco dunque la creazione dei micro-bots, nanomacchine capaci di riprodurre qualsiasi cosa.
Ibrido fantasioso e mescolato al Dna fumettistico Marvel, è l’impacciato (ed inespressivo) infermiere riconvertito a samurai l’anima zelante di questo universo affollato. Adorabile stereotipo dell’amico dei sogni, Baymax è per Hiro l’equivalente del gatto Doraemon: un goffo compagno d’avventure, dotato di un’incrollabile tenacia con cui fronteggiare un robotico dinamismo che non annoia, ma vero punto focale tra molti sorrisi e uno spirito di immolazione che sigla più di qualche lacrima. Grazie all’aspetto di un background che riporta alla contaminazione manga, dalle acrobatiche sequenze action agli incredibili edifici, ponti, emblemi urbani (come il Golden Gate e la Tokyo Tower) sulle sponde immaginarie di una fusione che unisca Tokyo a San Francisco. Così, ben distanziato dalla pletora di cinecomics che affollano le sale cinematografiche di tutto il mondo, a Big Hero 6 manca però il cuore gettato oltre l’ostacolo (ciò che invece accadeva nel capolavoro Wall-E), una prospettiva diversa da qualsiasi cosa lo spettatore abbia visto su schermo finora. Un potenziale notevole eppure vanificato dal vizio della forma, pur di far quadrare i conti al suo gruppo di novelli supereroi o strizzare l’occhio ai tanti giovani nerd in erba. Rivolgendosi ad un target principalmente maschile, alle prese con la confusione e la rabbia tipiche di un’età pre-adulta.
Tutt’altra pasta invece un livello tecnico sempre più elevato, che partendo dal basso – con vivide decorazioni su ricchissimi fondali – si perfeziona ed arricchisce di finezze, effetti di luce, ogni singolo poligono mostrato dall’alto. E che ritrova proprio nella memorabile creatura dal bianco in vinile, quel ritaglio di culto capace di elevarlo alla schiera degli eroi Disney dei Duemila. Se non altro, al di là dell’amicizia e dei sentimenti accennati, Big Hero 6 ha nella sostanza la volontà di intrattenere un pubblico trasversale senza voler poi rivoluzionare il modo di esporre ai più piccoli il dramma di un lutto alle origini. Anche quando la cinepresa piroetta in maniera voluttuosa nello spazio, perdendo di vista la narrazione anziché rincarare la gestione fattuale dell’opera nel senso musicale dello stacco. Date le premesse (la trasposizione di un mediocre fumetto degli anni ’90), un’impresa eroica riuscita purtroppo solo a metà.
Big Hero 6
- Regia: Don Hall e Chris Williams
- USA 2014