Dark, la recensione della prima stagione della serie tedesca di Netflix
Il mondo, le nostre realtà, sono davvero calate in una strada dritta e senza curve? O forse, dietro il meccanismo del destino, si nasconde il grimaldello segreto per influenzare gli eventi, giocando a fare Dio?
Dark è clamorosa. Al pari del suo fragore musicale tra uno stacco temporale e l’altro; lo è sotto molteplici livelli, come un ingranaggio a spire fatto di minuziosi misteri, ramificazioni inestricabili, un puzzle di validissimi personaggi (ri)assemblato pezzo per pezzo.
Ma c’è di più, va detto. C’è un tappeto sensoriale da applausi, su cui far avanzare – solenne – un paradigma narrativo scrupoloso e chirurgico, che si fregia dell’opportunità di intervallarsi nel ‘tempo’, fra epoche più o meno vicine e in cui sospendere ogni giudizio, ogni dramma percepito. Attestando, ora nel thriller ora nella più detonata fantascienza, una precisa identità di suspense.
Perché la prima series tedesca prodotta da Netflix è un ‘risucchio’ ipnotizzante e caotico, un tuffo ad occhi chiusi quanto cucito con sagacia, dalla fortissima matrice ‘lostiana’. Attraverso un wormhole in cui passato, presente e futuro si impastano, manipolandosi a vicenda; dove ciò che è stato forse non può essere ‘corretto’, ma può ripresentarsi portando alla luce una verità (dalle infinite varianti), e con essa il fardello di altri inconfessabili segreti. Fino a giungere ad un futuro non ipotizzabile (la domanda non è “dove” ma appunto “quando”!), per canoni così vicino all’universo di Mad Max.
Somministrato a grandi dosi, Dark sa essere uno show ammiccante ed estremamente ben congegnato. Che abbraccia un fatalismo incombente, intagliato sull’espressività dei suoi dogmi arcani, ognuno scaturito da forze naturali dalla portata raccapricciante.
Un’audacia narrativa che sconvolge e ci fa felici.
Dark – prima stagione
- Creatori: Baran bo Odar, Jantje Friese
- Germania, 2017