Versailles, la recensione della 2 stagione disponibile su Netflix
Versailles, su Netflix dal 5 gennaio 2018 (stagioni 1 e 2 e con la 3 stagione che uscirà prossimamente), è una serie televisiva franco-canadese. Come è stato sottolineato da Mathieu da Vinha, Direttore Scientifico del Centro di Ricerca di Versailles e consulente storico della serie, non si tratta di un documentario ma di un “romanzo storico”, ispirato alle vicende di una delle corti più lussuose, rinomate e ambite dell’Europa del XVII secolo, ovvero quella francese di Luigi XIV, noto anche come Re Sole.
Sono gli anni della costruzione della Reggia di Versailles per mostrare e celebrare la grandezza della Francia, del trasferimento dei nobili a corte con l’intento del re di controllare la nobiltà, ma anche dello scontento delle classi più povere/meno abbienti, le cui condizioni di vita si contrappongono a quelle dei ceti alti e che non si vedono riconosciuti i diritti dopo aver combattuto in guerra, dei matrimoni strategici e dei trattati diplomatici in cerca di alleanze commerciali e politiche.
Accanto alla vicende di Luigi XIV (interpretato da George Blagden), protagonista assoluto, ruotano quelle dei suoi “pianeti”: sua moglie Maria Teresa d’Asburgo (Elisa Lasowski), fedele sostenitrice della chiesa Cattolica, costretta a dividere il suo re con le sue numerose amanti, tra cui la Marchesa di Montespan (Anna Brewster) una delle sue preferite. C’è poi suo fratello Filippo I Duca d’Orléans (Alexander Vlahos), costretto a sposare prima Enrichetta d’Inghilterra (Noémie Schmidt) e poi Elisabetta Carlotta del Palatinato (Jessica Clark) per garantirsi una successione, ma portando sempre in parallelo la sua relazione con lo Chevalier de Lorraine (Evan Williams), infatti è rinomato che Filippo I avesse tendenze omosessuali. A questi si affiancano le vicende di personaggi secondari, che vivono a corte.
Se la prima stagione si destreggia solo tra gli intrighi di corte, la seconda è più matura e lascia spazio ai campi di battaglia, alle guerre, che oltre alle arti, sono lo strumento che hanno usato i re per essere ricordati. Proprio il trasferimento della nobiltà da Versailles a Parigi ha portato ai nobili uno scontento (degenerato in depravazione), perché vivere a corte comportava non solo avere dei privilegi ed una vita agiata ma allo stesso tempo essere in una “prigione”, in cui ogni azione e parola viene osservata, e per ingannare il tempo era facile cadere nel gioco d’azzardo o nell’adulterio. Ciò che governa e guida la vita a corte è l’arrivismo sociale, gli uomini che cercano di entrare nella vita politica del re, mentre le donne nelle sue grazie o meglio nel suo letto. Il fine dunque giustifica i mezzi, uomini e donne sono disposti a fare di tutto, c’è un susseguirsi continuo di nobili deceduti per avvelenamento, molto spesso, per mano di altri nobili, cospirazioni contro il re, di spie, di strumenti di tortura per estorcere informazioni ai presunti colpevoli.
Tra le varie puntate, quella più riuscita, a mio parere, è la 02×07. Ambientata in Olanda nel 1672, vede protagonisti Luigi XIV e Guglielmo III d’Orange (George Webster), acerrimo nemico del re, a capo della coalizione antifrancese e che lo terrà impegnato in guerra per 30 anni. La puntata si focalizza sul loro incontro, mai avvenuto nella realtà, da una parte il sovrano del cattolicesimo, della tirannia, dello sfarzo; dall’altro il sovrano (“senza regno” in quegli anni) garante del protestantesimo in Europa, discreto e riservato. Non è solo una lotta tra re ma tra religioni e stili di vita; in comune però c’è la passione per le arti e la cultura, visiti come mezzi per tramandare le loro memorie ai posteri.