PARASITE: la lotta di classe tra il visibile e l’invisibile

 

Trama

Seul è la cornice di questa storia, un microcosmo di disuguaglianza sociale dove la famiglia Kim, povera e disoccupata, vive ai margini. Come fossimo in un episodio di Black Mirror (2011 -), la loro esistenza è permeata dalla connessione forzata al Wi-Fi rubato dai vicini, una moderna dipendenza. Quando Ki-woo, il primogenito, ottiene un lavoro come tutor per la ricca famiglia Park, si avvia una spirale narrativa che lo porta, insieme ai suoi familiari, a infiltrarsi nella casa lussuosa e ordinata di questi ultimi. È una truffa costruita con l’abilità narrativa di un romanzo di Dostoevskij: ogni membro della famiglia Kim assume un ruolo diverso, fino a costituire un’illusione perfetta di agiata normalità.

Mi sono chiesto, questo film coreano resisterà alla prova del tempo?

La linea invisibile

L’entusiasmo straordinario che lo ha circondato fin dalla sua uscita è frutto di una moda passeggera o di un riconoscimento reale? Una domanda aperta, ma ciò che è certo è che Parasite non è affatto un film “normale”. È un’opera davvero ben congegnata, che gioca su molteplici piani e offre un’esperienza cinematografica accessibile ma stratificata, capace di coinvolgere sia lo spettatore casuale che il critico più attento.

La bellezza e la tragedia di Parasite risiedono nella “linea” che separa le due famiglie. Una tragica linea che sembra rimandare ad Us (Jordan Peele, 2019), a chi sta sopra, e chi sta sotto. A chi come direbbe Truman Capote è uscito dalla porta davanti di casa, e chi da quella di dietro (in riferimento al suo libro A sangue freddo, 1966).

Queste differenze di classe sono tipiche della democratica Seul (una democrazia alquanto recente, e ancora fragile, se si vedano gli eventi recenti). Le opere cinematografiche (e non) che trattano delle grandi disuguaglianze sociali in Sud Corea sono numerose. Il tragico Burning (Lee Chang-dong, 2018) un thriller psicologico basato su un racconto di Haruki Murakami. Il film affronta temi di invidia sociale, isolamento e disuguaglianza economica attraverso il triangolo tra un giovane povero, una ragazza che conosce, e un misterioso uomo ricco; Snowpiercer (Bong Joon-ho, 2013) un film distopico ambientato su un treno che rappresenta una metafora della divisione di classe: i poveri vivono in coda in condizioni misere, mentre i ricchi godono di un lusso sfrenato nella parte anteriore; e finiamo con The Housemaid (Im Sang-soo, 2010) remake di un classico del cinema coreano del 1960. Racconta la storia di una domestica che entra in una famiglia dell’ élite e le dinamiche di potere e sfruttamento che emergono.

Sulle serie ne basti una, il fenomeno di culto Squid Game (2021) della quale è uscita un mese fa la seconda stagione. Per chi volesse approfondire il tema consiglio la visione di due documentari: The Basement Satellite (2013) e Factory Complex (2015).

In numerose di queste opere emerge un senso di claustrofobia e oppressione sociale che ci fa pensare a 1984 di Orwell (1949), seppur l’invadenza dittatoriale non è presente nella coercizione dei personaggi, il solo fatto di appartenere a una famiglia povera (come i prolet) pregiudica la possibilità di una scalata sociale. Del resto in Italia come in India (dove però la divisione in caste, seppur vietata per legge, è ancora fortemente presente nella società) o nel resto del mondo, l’ascensore sociale è ormai bloccato da un decennio, e le cose non sembrano migliorare, se recenti report hanno indicato che solo il nascere in un quartiere rispetto a un altro di Roma, pregiudica statisticamente il successo socio-economico.

Insomma sembra che ci sia una linea di demarcazione che sta diventando sempre più netta, anche all’interno di società ricche e democratiche.

Questa linea è al centro del climax del film, quando Ki-taek, il padre dei Kim, esplode in violenza contro Mr. Park. Come il ne Il Grande Gatsby di Fitzgerald (1925), il film mostra un’aspirazione insoddisfatta che sfocia in risentimento e rivalsa. Ki-taek si rende conto che, nonostante la vicinanza fisica, la sua famiglia è vista come composta da esseri inferiori, definiti persino da un odore che li distingue come appartenenti a un altro mondo.

La modernissima villa dei Park diventa un personaggio a sé stante (un po’ come la villa adiacente il Bates Motel in Psycho, se non avete letto il mio articolo, recuperatelo!); con i suoi spazi aperti e i sotterranei segreti è un riflesso della rigida gerarchia sociale. Ricorda anche la villa in Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968), dove l’invasione di un elemento estraneo, disgrega l’apparente perfezione della borghesia. Allo stesso modo, i Kim, pur vivendo nel mondo dei Park, rimangono confinati nel ruolo di parassiti, una metafora potente che sottolinea l’inesorabilità delle dinamiche di classe.

Metafore visive e citazioni culturali

L’arte di Bong Joon-ho sta nel mescolare registri diversi: da commedia sociale, il film si trasforma in un thriller ansiogeno, culminando in un finale tragico e brutale. Bong utilizza dettagli visivi – come il “suseok”, una pietra simbolo di fortuna – per ancorare la narrazione a metafore universali.

Il conflitto tra i Kim e i Park è speculare a quello interno tra i Kim e la governante licenziata Moon-gwang e suo marito, nascosto nei sotterranei. Come in 1984 dunque, le lotte tra oppressi diventano più brutali di quelle contro i veri oppressori (quella che comunemente viene definita ‘guerra tra poveri’). Questa dinamica sottolinea come il turbo – capitalismo partecipi a rendere invisibile l’umanità stessa.

Un tema simile è presente in un’altra opera, Un affare di famiglia (2018) di Hirokazu Kore-eda, che racconta la storia di una famiglia povera che sopravvive grazie a piccoli furti. Sebbene giapponese, il film si collega a Parasite per la sua critica ai sistemi sociali che marginalizzano i più deboli. Entrambi i film mettono in discussione l’idea tradizionale di famiglia, evidenziando come le dinamiche economiche possano deformare i legami umani.

La questione della divisione in classi non è come dicevamo limitata alla Corea del Sud. Opere come il classico Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica o Joker di Todd Phillips (2019), esplorano temi simili, seppur in contesti culturali differenti. Questi film evidenziano come la disparità economica generi alienazione, disperazione e, in alcuni casi, violenza.

In un mondo sempre più globalizzato, Parasite e opere simili fungono da specchi della società, costringendoci a confrontarci con le ingiustizie strutturali che attraversano culture e confini. La loro forza risiede nella capacità di narrare storie universali che, pur nascendo da contesti specifici, parlano a un’umanità condivisa, invitandoci a riflettere su come costruire una società più equa. Se De Sica utilizza il neorealismo per ritrarre con estrema empatia la lotta di chi vive ai margini, allo stesso modo, Joker dipinge un ritratto psicologico e violento della disuguaglianza nella società contemporanea americana, mostrando come l’alienazione possa trasformarsi in rabbia distruttiva.

Consiglio due serie HBO estremamente cupe, ma necessarie per immergersi nel mondo degli ultimi: Oz (1997 – 2003) e The wire (2002 – 2008).

Opere come Furore (1940) di John Ford, tratto dal romanzo di John Steinbeck, e I miserabili (2012), adattamento del celebre romanzo di Victor Hugo, esplorano ulteriormente il tema della povertà e della divisione in classi su scala globale. In Furore, la Grande Depressione americana è il contesto per una storia di lotta e resilienza, mentre I miserabili offre un potente affresco delle disuguaglianze sociali nella Francia del XIX secolo.

Un messaggio senza compromessi. Alla fine, Parasite non offre redenzione né giustizia. Come Joker , il film lascia lo spettatore in una zona di grigia amoralità, senza un “eroe” chiaro. Le azioni dei Kim e dei Park non sono mai del tutto giuste o sbagliate, ma sono semplicemente umane.

Con Parasite, Bong Joon-ho ha creato un’opera universale, unendo il commento sociale a una narrazione che spiazza e coinvolge. Come i migliori film di sempre, da La regola del gioco di Jean Renoir (1939) a The Housemaid di Kim Ki-young (1960), Parasite non è solo cinema: è uno specchio della società in cui viviamo.

CONSIGLIATI Memories of a murder (2003), The host (2006), Mother (2009), Monster (2014), Burning (2018), Un affare di famiglia (2018),

REGIA Bong Jon Ho

INTERPRETI Song Kang-ho, Lee Sun Kyun, Cho Yeo – jeong

ANNO 2019 SUD COREA

Romuald Marchionne

Letterato di formazione e fumettaro da sempre, amo il cinema in ogni sua singola sfaccettatura, genere e stile, periodo storico, regista e nazione. La folgorazione è avvenuta con Furore (The grapes of Wrath, 1940) di John Ford. In seguito I guerrieri della notte (The Warriors, 1979), con i sette minuti più belli della storia del cinema, mi hanno rapito per sempre nell'infinito universo della settima arte. Nella mia top 10 c'è di tutto, anche se il realismo poetico francese degli anni '30 ha un posto speciale nel mio immaginario...

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